Esodi aziendali più onerosi dopo l’addio al contratto di espansione

Quest’anno le società dovranno procedere alle riorganizzazioni della forza lavoro senza poter contare sul contratto di espansione che, introdotto nel 2019 e poi prorogato, non è più disponibile. Uno strumento che in diversi contesti si è rivelato efficace e meno costoso rispetto agli altri rimasti in vigore.

Tra le varie prestazioni, il contratto di espansione consentiva alle società con almeno 50 dipendenti di accompagnare i lavoratori alla cessazione anticipata dal servizio rispetto al pensionamento normale in maniera socialmente responsabile. Più in particolare poteva essere coinvolto tutto il personale che si trovava a meno di cinque anni dal pensionamento, sia di vecchiaia (attualmente 67 anni), sia anticipato (ora 42 anni e 10 mesi per gli uomini, un anno in meno per le donne). Il lavoratore coinvolto dal programma interrompeva l’attività con la società e riceveva (finanziata dall’azienda) una prestazione pari al trattamento pensionistico maturato alla cessazione. La società, per coloro che nei cinque anni successivi avrebbero raggiunto il pensionamento anticipato, si faceva carico anche dei contributi previdenziali necessari per perfezionare il requisito pensionistico. Contributi che invece potevano non esser versati qualora il lavoratore si fosse trovato a meno di cinque anni dal pensionamento di vecchiaia. Il contratto di espansione prevedeva inoltre una compensazione per le società. Infatti una parte del costo era sostenuto dallo Stato tramite l’utilizzo della Naspi per finanziare l’indennità di accompagnamento a pensione e il riconoscimento della contribuzione figurativa. Senza questo strumento, i costi a carico delle aziende per accompagnare a pensione i dipendenti aumentano sensibilmente, come evidenziato nell’esempio elaborato in questa tabella, ipotizzando il caso di un lavoratore che percepisca una retribuzione annua lorda di 35mila euro e sia a quattro anni dal pensionamento. Se continua l’attività, l’azienda ha un costo complessivo di 196mila euro. Nel secondo e terzo scenario il lavoratore è coinvolto da un prepensionamento così come stabiliva il contratto di espansione. Nel quarto scenario abbiamo considerato lo strumento che ormai presumibilmente sarà utilizzato con maggiore frequenza, cioè l’isopensione (articolo 4 della legge 92/2012). Nel quinto, invece, abbiamo ipotizzato che il lavoratore abbia maturato il diritto alla pensione anticipata quota 100. Al momento della cessazione dal servizio la società può erogare un’indennità di fine rapporto aggiuntiva pari al valore capitale della differenza tra la pensione Inps vitalizia che riceverà e quella che avrebbe ricevuto se fosse rimasto in servizio fino al pensionamento definitivo. I risultati sono evidenti. In tutti gli scenari alternativi rispetto alla prosecuzione dell’attività, il lavoratore riceve redditi che dovrebbero consentirgli di mantenere lo stesso tenore di vita. La società riceve in tutti i casi un risparmio del costo del lavoro. Ma con il contratto di espansione il risparmio sarebbe oscillato da 93mila a 124mila euro, mentre con l’isopensione non arriva a 50mila euro.

L’augurio è che strumenti del genere siano di nuovo considerati nella prossima revisione del nostro sistema pensionistico e solo attraverso un impegno comune tra lavoratori, aziende e Stato si potrà trovare la giusta quadra, senza far venire meno il principio dell’equità e mettere a rischio i conti pubblici.

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